Negli ultimi cinquant’anni, il sistema americano di giustizia penale si è basato quasi esclusivamente sulla punizione come meccanismo per ridurre il crimine e la recidiva. L’era del crimine ha prodotto un aumento esponenziale delle popolazioni carcerarie e il più alto tasso di incarcerazione nel mondo: l’obiettivo era punire sempre più individui e punirli più severamente.
Non solo ci sono stati massicci investimenti di capitale nelle carceri, ma le leggi di condanna hanno subito cambiamenti radicali verso una restrizione maggiore ed un incremento della severità della pena. Inoltre, la legge penale è stata ampliata, aumentando drasticamente il numero di comportamenti per i quali vi è responsabilità penale e a sua volta ampliando la rete del sistema giudiziario. Anche la guerra alla droga ha svolto un ruolo fondamentale nell’espansione della giustizia criminale americana.
Comunemente si pensa che i criminali “debbano pagare” per i crimini commessi, e spesso la prevenzione del crimine trattenendo le persone nei luoghi di detenzione è stata una misura applicata; poi c’è la deterrenza, l’idea che la punizione scoraggerà un criminale dalla recidiva. Ma l’occhio per occhio non ha una vera utilità per la prevenzione della recidiva, ne ha solamente per la soddisfazione emotiva della popolazione.
Rendere inabili al crimine potrebbe sembrare una logica adeguata
Ci accorgiamo che non lo è quando ci rendiamo conto che incarcerare un criminale non elimina necessariamente il crimine. Consideriamo lo spaccio di droga: arrestare uno spacciatore crea semplicemente un’apertura nel mondo del lavoro per la quale di solito ci sono molti candidati desiderosi. In effetti, il fallimento dell’incapacità di eliminare la criminalità si estende in genere a reati altamente organizzati o legati alle gang.
Poi c’è la deterrenza, che di nuovo, a prima vista, ha perfettamente senso. La teoria della deterrenza suggerisce che le minacce di punizione o il subire effettivamente una punizione dovrebbero ridurre la probabilità di recidiva. La punizione, dopo tutto, gioca un ruolo centrale nella socializzazione, generalmente impariamo così ad essere civili e sociali. Ma è proprio qui che sta l’errore del pensiero: i criminali non ragionano e si comportano come la maggior parte della popolazione; le loro circostanze ed esperienze di vita tipicamente differiscono in modo fondamentale dalla popolazione non criminale.
In America si investono molti soldi per la lotta alla criminalità e alla droga, ma qual è il ritorno sull’investimento?
Cosa si è ottenuto con l’attenzione sulla punizione?
Ci sono molti modi per osservarlo, ma forse il più diretto è la recidiva. Il tasso complessivo di recidività in America è di circa il 70%, il che significa che il 70% dei detenuti viene arrestato di nuovo entro cinque anni dalla liberazione dal sistema di giustizia penale. È importante notare che la recidiva è una misura conservativa poiché conta solo coloro che sono stati catturati.
Un altro modo per valutare il ritorno sull’investimento è stimare statisticamente l’impatto della politica di punizione sui cali di criminalità. Il crimine negli Stati Uniti è calato drasticamente durante la fine degli anni ’90 e ha continuato una tendenza al ribasso, producendo tassi di criminalità storicamente bassi oggi. Sicuramente questo è il risultato della massiccia espansione delle prigioni. Sfortunatamente, anche questa non è una buona notizia. Il consenso scientifico è che tra il 10% e il 15% del declino del crimine negli Stati Uniti è attribuibile alla politica di punizione.
Qual è stato l’errore? Perché una cosa così intuitiva e logica non è riuscita a ridurre efficacemente il comportamento criminale?
Innanzitutto, la grande maggioranza dei criminali che entrano nel sistema giudiziario hanno delle problematiche: circa il 60% ha dei problemi di salute mentale, e l’80% ha un disturbo da uso di sostanze; le alterazioni neuro-vascolari e neuro-cognitive sono comuni. Tra il 50 e il 60% dei trasgressori ha avuto una lesione cerebrale traumatica e la relazione tra povertà, trauma e menomazione neuro-cognitiva è ben consolidata. La comorbidità è abbastanza comune, specialmente la coincidenza tra disturbi dell’uso di sostanze e problemi di salute mentale e neuro-cognitivi.
L’incapacità di finanziare adeguatamente la salute pubblica ha portatoil sistema di giustizia penale a essere il depositario di molti individui disturbati. Poiché facciamo poco per affrontare e mitigare questi disordini nel sistema giudiziario, i trasgressori spesso si scompensano; a seguito della pena vengono rilasciati essenzialmente in assenza di reti di sicurezza nella comunità.
Non c’è niente nella prigione o nel carcere che aiuti a preservare la sanità mentale o a non peggiorare i disturbi già esistenti, l’incarcerazione non fa nulla per affrontare la dipendenza dalla sostanza. La punizione non attenua la compromissione neuro-cognitiva o gli effetti del trauma e dell’esposizione alla povertà.
La grande ironia degli ultimi cinquant’anni della politica di giustizia penale degli Stati Uniti è che non si sarebbe potuta progettare e costruire intenzionalmente una macchina recidiva migliore di quella che esiste.
Bibliografia:
William R. Kelly, Ph.D., From Retribution to Public Safety: Disruptive Innovation of American Criminal Justice (2018)
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